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l'assetto - 18/9/2002
L'assetto a Rio: maneggevolezza e trazione
Nonostante sia stato solo tre anni fa il circuito di Rio non gode di una grande reputazione per quanto riguarda l'aderenza.
In realtà il problema non è solo dell'asfalto, ma una combinazione di mancanza di grip, molte buche ed una grande varietà di curve, spesso veloci, senza alcun "camber", cioè completamente piatte.
Poiché c'è solo una frenata decisa si tende principalmente a privilegiare la manovrabilità.
Il primo obiettivo è di renderla guidabile nei cambi di direzione veloci e medio veloci, e ciò si ottiene indurendo l'ammortizzatore posteriore, in modo da prevenire l'accucciamento della moto in accelerazione.
Il problema con questo tipo di soluzione, però, è che trovata l'agilità si deve combattere un risultato negativo: la moto diventa nervosa e per il pilota diventa difficile mantenere un buon ritmo.
L'utilizzo di una molla posteriore dura ha anche un altro effetto, fa lavorare di più la gomma, con ciò che comporta in termini di deterioramento.
Per questo motivo, di solito, si torna sui propri passi ammorbidendo la molla ed indurendo il precarico dell'ammortizzatore posteriore, in modo di "sostenerlo" in accelerazione.
Contemporaneamente si "allenta" anche il ritorno, in modo che dopo la compressione l'ammortizzatore ritorni rapidamente alla sua lunghezza statica.
Trovato il giusto compromesso, che riguarda anche la forcella, ci si concentra sul motore e poiché Rio è un circuito di accelerazioni ci si concentra sull'erogazione ai medi ed agli alti regimi.

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