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HONDA CONTRO YAMAHA, L’EVOLUZIONE SFIDA LA RIVOLUZIONE
I tempi stringono, e gli attesi test Irta di Barcellona si avvicinano sempre più. Mancano appena due settimane al 18 marzo, e dopo quella data il Motomondiale inizierà a correre sempre più velocemente verso la partenza definitiva, il 10 aprile, a Jerez.
Nel frattempo, però, c’è ancora qualcosa da fare: la Yamaha deciderà nei prossimi test di Phillip Island, dal 9 all’11 la versione definitiva della M1 di Valentino Rossi, mentre la Honda, con in tasca i dati dei recenti test in Qatar, cercherà di fare chiarezza al fine di evitare il disastro del 2004, quando il nuovo telaio, consegnato per l’occasione dei test di Barcellona anche ai team Satellite, provocò una mezza rivolta.
L’impressione, per il momento, è che sia la Yamaha ad essere in vantaggio. Se non in termini di prestazioni assolute, quantomeno come metodo di lavoro. La casa di Iwata, del resto, ha recentemente fatto suo il sistema che la Honda ha adoperato nel passato: decide il pilota-guida, tutti gli altri si adeguano.



In casa Honda, al contrario, vige al momento quello che fu lo schema Yamaha del passato: ascoltiamo tutti…e poi seguiamo quello che va più veloce al momento.
E’ sempre così quando non si ha un pilota che prevale nettamente sugli altri, o di cui non ci si fida ciecamente, questa è la realtà. Il resto sono chiacchiere.
Rispetto alla Yamaha, però, la Honda ha un vantaggio: maggiori risorse, economiche, tecniche ed umane. Se, infatti, per la casa dei tre diapason era veramente impossibile fare evoluzione in tempo reale per i vari piloti, con il risultato di procedere, quando andava bene, a zig-zag, il colosso alato, al contrario, potrebbe veramente procedere su vie parallele, o quasi.

Lo ha fatto, del resto, storicamente, quando, come oggi, perso un pilota di riferimento si è trovata costretta ad attenderne un altro.
Ricordate? Correva l’anno di grazia 1989 e dopo una furibonda litigata (molto simile a quella recente con Rossi), Eddie Lawson, che aveva vinto la scommessa di confermarsi campione del mondo della 500 passando da Yamaha ad Honda, tornò all’ovile. Purtroppo per lui il 1990 non fu un anno fortunato, ma la moto che “Awesome Lawson” aveva contribuito a creare andò egualmente a segno con Wayne Rainey, che vinse il suo primo titolo iridato. Merito suo, certo, ma anche del fatto che la Honda schierava l’ancora immaturo Mick Doohan, Wayne Gardner che aveva già dato il suo meglio, un certo Sito Pons ed il nostro Frankie Chili.
Insoddisfatto del trattamento riservatogli dalla Yamaha (“è stato come tornare in ufficio e trovare la propria scrivania già occupata”, disse), Lawson poi fu costretto ad accettare l’offerta della Cagiva. Ma questa è un’altra storia. Quella che ci interessa, invece, riguarda la reazione della Honda: semplicemente non ci fu. Anche il 1991 finì così nelle mani della Yamaha, con un Mick Doohan, però, già in crescita: 3 vittorie per lui, 6 per Rainey, 5 per Schwantz, 1 per Kocinski.
E sarebbe finita lì, senza l’incidente del 1992 per il Grande australiano, che prima di schiantarsi ad Assen aveva già vinto 5 Gran Premi su 7 ipotecando di fatto il primo titolo iridato…
Il 1993, poi, fu l’anno dell’incidente di Wayne Rainey, dell’unico sigillo di Kevin Schwantz e…della riabilitazione di Mick, prima dell’instaurazione della sua dittatura.

In tutto questo tempo la Honda si limitò ad attendere. Quattro lunghi anni dall’ultimo titolo vinto con Eddie Lawson, al primo del suo erede. Già, perché Mick, quando entrò a far parte dell’HRC, legò, ovviamente, con Eddie, non con il connazionale Wayne Gardner, tanto da passare un periodo con lui, in California.
A cosa serve tutto questo ripasso storico? A niente, solo a farci capire che la Honda, anche se può sembrare diversa, è invece sempre uguale a sé stessa.
In questo momento, infatti, ha due piloti forti ma ormai vicinissimi al capolinea: Gibernau e Biaggi, di cui non si fida ciecamente. Più Barros, coriaceo ma incostante. E due giovani sui quali scommettere, Hayden e Melandri, oltre un credito aperto, e non si sa quanto fruttifero, con Chris Vermeulen.
Nella sua ottica è messa meglio della Yamaha, che di fatto ha solo Valentino Rossi.

L’impressione è che il gigante, in questo momento, sia disposto ad attendere. Ovviamente non a servire il mondiale su di un piatto d’argento ai rivali, ma nemmeno a strapparsi i capelli in caso di sconfitta.
Peccato che, così facendo, protegga la “covata”, ma non dispieghi nel modo più opportuno le sue pur ragguardevoli forze.
Qualora volesse veramente vincere il mondiale piloti – e non l’inutile marche – la Honda dovrebbe scuotersi dal suo torpore, rischiare veramente, e accettare la realtà, come ha fatto la Yamaha che violentando il suo credo si è imposta di giocare con una sola punta: Valentino Rossi.

Potrebbe essere Gibernau, Biaggi, magari Melandri, perché no?, se dimostrasse di essere finalmente maturato. Ma ormai è troppo tardi. Schiava dei suoi stessi sponsor, Telefonica, Camel, prima ancora che Repsol, ed oggi anche Konica-Minolta, deve fornire a tutti moto più che competitive. Alimentando, così, solo le sfide interne per una supremazia che nessuno dei piloti avrà finché non dimostrerà di avere qualcosa in più dei…compagni di marca.

4/3/2005

 

 

 

 

 

 

 

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